venerdì 21 marzo 2014

Amore e paura

Intendendo, come si dovrebbe fare, l’Amore come esperienza suprema, al concetto di Amore possiamo lecitamente associare il termine di pura Conoscenza in essere. L’Amore è la pura esperienza, la pura consapevolezza, che può essere definita anche come pura Conoscenza in essere, o Beatitudine, o Pace, per usare termini diversi. Il ricercatore della Verità giustamente orientato può scoprire la veridicità di questa associazione, come anche che l’Amore è il Sé esperienziale. Pertanto, in quanto esperienza diversa dall’Amore, la paura denota ignoranza, una particolare forma di ignoranza, in un certo senso la più distante dalla Conoscenza. L’Amore è esperienza di Immensità, tendere ad Amare ci espande, favorisce la consapevolizzazione della nostra Immensità, in quanto Amore, pura Identità esperienziale. Le paure derivano  sostanzialmente dal limitarci, dalle identificazioni con le nostre espressioni limitate,  con le idee, le emozioni e la percezione definita corpo. Abbiamo paura perché ignoriamo,  sostanzialmente l’Amore, nostra Sostanza esperienziale, ciò che siamo in Verità, ciò che siamo in quanto Verità esperienziale. Aver paura significa ignorarSi, la paura è profonda diversità da Sé. Produciamo paura perché non ci Conosciamo e la stessa paura ci allontana dal ConoscerCi, si tratta di un circolo vizioso che bisogna interrompere rendendo noi stessi percorso spirituale vero, orientato direttamente verso l’Illuminazione, intesa unicamente come inizio della Vita, come base per una sempre migliore espressione di Sé,  DioUomo-DeaDonna, non più semplicemente essere umano limitato. www.andreapangos.it

lunedì 17 marzo 2014

Concettualità Consapevole

Non ci identifichiamo, subiamo l’identificazione. Non siamo noi a governare l’identificazione, nell’uomo poco consapevole l’identificazione è un automatismo costantemente in essere. Per liberarcene dobbiamo introdurre un altro meccanismo, ma positivo, per creare maggior grado di consapevolezza. Per liberarci dall’identificazione  corporea, emozionale e concettuale, possiamo lavorare direttamente sull’identificazione, ma questa può essere un’altra subdola contaminazione da identificazione, può trattarsi della malattia travestita da medicina. L’identificazione con il limitato produce sofferenza ed è conseguenza della stessa,   l’afflizione è il vero falso io; perché?, semplicemente perché la Beatitudine è il Sé esperienziale. Per affrancarci dalla sofferenza dovremmo  focalizzarci sulla Medicina Pura, unicamente Ciò che è senza sofferenza può veramente guarire dall'afflizione, Illuminandoci. Volgiamoci quindi verso la Beatitudine, Medicina Interiore,  anche creandoci idee giuste sulla Beatitudine e su Noi Stessi Beatitudine, senza però rimanere alla mera diversificazione dell’identificazione concettuale, identificandoci con i pensieri, perché magari più bravi di altri nel formularli.  Le idee giuste usate in modo errato sono tra le ragioni della sofferenza:  la consapevolezza concettuale, mera capacità di esprimere concetti spirituali senza conoscere esperienzialmente ciò che designano, è poca cosa rispetto alla concettualità consapevole, propria della Consapevolezza che Sa Ciò di cui argomenta.

    

Beatitudine e paura di essere diversi


La paura di essere diversi dagli altri, perché temiamo di essere isolati, di non trovare sostegno in loro, di non essere riconosciuti, non è certamente la causa principale per cui non siamo Autentici. La ragione principale è che non siamo capaci di produrre Autenticità.  Chi Sa come essere Se Stesso non si fa "redimere" dal giudizio altrui,  rispetta chi lo esprime perché ne comprende i limiti, ma non si fa limitare, anzi condiziona, trasformando beneficamente. In quanto esperienza primaria, vibrazione esperienziale fondamentale, esperienza integrale, la Beatitudine trasforma spontaneamente ciò che è segmentato e non solo; non potrebbe essere diversamente, la Beatitudine è Spontaneità. Sapere Essere Se Stessi è Essere la Conoscenza Beatitudine, Essere piena Conoscenza di Ciò che Siamo in Verità, Beatitudine, appunto. La Beatitudine è senza paure, tendere direttamente alla Beatitudine è la via più proficua per liberarci dalla paura del giudizio altrui, dal timore di non riuscire, dalla paura di non essere abbastanza forti; più proficua anche perché può essere orientamento diretto all’Illuminazione, scopo primario della vita, unicamente inizio della Vita. Tendere concretamente alla Beatitudine è maturare la Forza di essere Veramente diversi da chiunque, perché perfettamente uguali a Sé, liberi comunque da ogni attaccamento alla propria particolarità: attaccamento è dipendenza, dipendenza da ciò che impedisce la Beatitudine, la dipendenza è la sofferenza. La Beatitudine non può impedirSi, è la sofferenza a impedirci di produrre Beatitudine nell’intero campo esperienziale, la Beatitudine è senza sofferenza. 

sabato 1 marzo 2014

Beatificazione, Illuminazione e Santissima Trinità

Sostanzialmente, la maturazione spirituale è la maturazione della consapevolezza e la Beatitudine è la pura consapevolezza. La beatificazione, intesa come processo di Illuminazione, può pertanto essere lecitamente associata al concetto cristiano di Trinità, dell’unità delle Tre Persone Divine: Padre Figlio e Spirito Santo. Il Padre è la Beatitudine, espressione esperienziale primaria di Dio Origine. In quanto Beatitudine, il Padre si trova alla base dell’esserci del figlio essere umano, è la sua esperienza primaria. Lo Spirito Santo è il processo di beatificazione del figlio, l’espansione della Beatitudine in tutto il suo campo esperienziale, tramite la trasformazione della mente, finché il figlio diventa Figlio, perché la Beatitudine caratterizza il suo intero campo esperienziale. In questo senso, lo Spirito Santo è il Padre in espansione nel campo esperienziale del figlio. Il Padre, lo Spirito Santo e il Figlio sono dunque Uno, sono la Beatitudine. Si può parlare di Tre Persone diverse e della loro unità soltanto dalla prospettiva del processo di beatificazione, nel senso di uniformazione del campo esperienziale, perché sempre più caratterizzato dalla Beatitudine. Dalla prospettiva della Sostanza esperienziale, che è sempre la Beatitudine, invece, non c’è alcuna differenza: Dio Padre è la Beatitudine, lo Spirito Santo è Beatitudine, il campo esperienziale del Figlio è Beatitudine; più che di unità delle Tre Persone Divine si tratta perciò dell’Unica Una esperienziale, cioè della Beatitudine.   www.andreapangos.it

lunedì 10 febbraio 2014

Falso io e Beatitudine, Ego Dio

   La Beatitudine può essere considerata come Ego Divino, più precisamente l’Ego Dio esperienziale: Dio Beatitudine non è Beato, è la Beatitudine stessa. Letteralmente, Ego significa io e, in questo senso, la Beatitudine è il puro Ego esperienziale, che da ora in avanti verrà definito semplicemente Ego Dio. 
    Dalla prospettiva psicologica “classica”, l’ego può corrispondere all’io primordiale, mentre l’io rappresenta l’evoluzione di questo ego, una sua raffinazione. Considerando che la Beatitudine è l’io esperienziale primordiale e che l’individualizzazione passa, dovrebbe passare, attraverso l’Illuminazione, la quale esige la Beatitudine come esperienza principale, l’ego-io primordiale e l’Io veramente raffinato (Illuminato) implicano ambedue la Beatitudine, sono pertanto associabili ai termini di Ego Dio. 
  Differenziare l’ego, inteso come io primordiale, dall’io, interpretato come evoluzione di questo io primordiale, significa marcare lo sviluppo dell’uomo in adulto consapevole. Siccome la Consapevolezza Totale implica la Beatitudine, anche da questa prospettiva l’Io Sviluppato è caratterizzato dalla Beatitudine, basato cioè sull’Ego Dio. 
    L’ego può essere considerato come punto focale dell’esperienza di esserci, la coscienza di sé con le idee che l’uomo ha di sé: chi non si conosce senza pensieri, emozioni e percezioni, è obbligato a definirsi concettualmente. Certo, anche determinarsi come Beatitudine esige il mondo concettuale, ma è una definizione che riguarda l’ambito precedente il mondo delle idee, delle emozioni e delle percezioni; è un’ immedesimazione con l’Immenso, non vincolata dal limitato. L’ego fuorviante si forma dall’identificazione con il corpo fisico, le emozioni, i pensieri. L’ego Giusto nasce dalla Beatitudine, soprattutto se nobilitata dalla consapevolezza sull’Origine (Assoluto, Dio Immanifesto), che è l’Io Reale: Sussisto Origine della Beatitudine che Sono, il corpo, le emozioni e i pensieri sono Mie espressioni. 
    Il corpo è il punto focale della consapevolezza di “sé” di molti (io sono il corpo), altri si identificano maggiormente con le emozioni (sono le emozioni), altri ancora con i propri concetti (sono i pensieri, sono la mente). Per chi prova solo Beatitudine è naturale affermare Sono Beatitudine, associando così il sé non a un segmento esperienziale, come nel caso dell’identificarsi con corpo-emozioni-pensieri, ma all’esperienza integrale Beatitudine. 
    Dalla prospettiva psicologica, l’io può essere considerato come amministratore dei processi percettivi, emotivi e concettuali. L’Io Beatitudine, quando presente soltanto alla base del nostro esserci, non amministra la sfera percettiva, emotiva e concettuale, anche se ne è la base. La Beatitudine che, invece, permea l’intero campo delle esperienze, può gestire direttamente queste queste tre sfere. Tra l’altro, non da una prospettiva limitata, come quella dell’ego concettuale, emotivo e percettivo (io sono il corpo, le emozioni e i pensieri), ma dalla prospettiva Globale del Vuoto mentale, che è Beatitudine espressa in tutto il campo esperienziale. Il Vuoto mentale è senza emozioni e idee, ma può gestirle consapevolmente nel senso che rende possibile il pensiero consapevole, ma anche le emozioni positive che possono scaturire e dal Vuoto mentale nell’interazione quotidiana; influisce, inoltre, sulle emozioni ed idee altrui, trasformandole positivamente. 
    Associato a tutto il piano esperienziale, l’ego è eliminabile solamente con la morte, finché produciamo esperienze e idee siamo destinati a produrre ego. In questo senso, la soluzione è guarire l’ego, non guarire dall’ego. Voler guarire dall’Ego significherebbe cercare di guarire dalla Beatitudine, voler liberarsi dalla Salute Amore. L’ego andrebbe osservato come potenziale psicologico ed energetico da trasformare positivamente, non come nemico da combattere: l’Amore è la Pace che non si può ottenere con la guerra. Ciò che possiamo, dovremmo, fare è migliorare l’ego, consapevolizzandoci! Attenzione, arricchendo l’ego con idee che soltanto ci sembrano migliori ci impoveriamo, dobbiamo maturare idee giuste su noi stessi, dare vita a concetti che non possono prescindere dalla consapevolezza di Sé Beatitudine ed Origine. Dovremmo, inoltre, considerare che l’Ego Dio può comparire solo con la scomparsa di ogni idea: la Beatitudine è senza pensieri, mentre la scoperta di Dio Origine esige l’Estinzione, stato non esperienziale. 
    L’ego va eliminato nel senso che per Illuminarsi di Vero Io bisogna liberarsi dal falso io. L’attaccamento alla propria particolarità è, chiaramente, un ostacolo per liberarsi dalle idee sbagliate su se stessi. Per non incorrere nel rischio di ornarsi di ulteriori vincoli, con fuorvianti elucubrazioni sull’identificazione e sulle pecularietà del falso io, può essere molto utile semplificarsi la guarigione dal falso io, considerando che essendo la Beatitudine il Vero Sé, la sofferenza è il falso sé, del quale fanno parte tutti i nostri processi che generano afflizione. Liberarsi dal falso io significa, sostanzialmente, guarire il campo esperienziale, liberandolo dall’afflizione, in modo da far regnare l’Amore, che è sempre senza sofferenza.
    L’ego va trasformato consapevolmente, non combattuto dualisticamente, soprattutto maturando la capacità di produrre Beatitudine. Favorire la trasformazione dell’ego, in modo da diminuire i conflitti con lo stesso ego (che sono autoconflitti dell’ego), è un’altra ragione per cui associo il concetto di Ego Dio alla Beatitudine. 
    Assalire l’ego può facilmente produrre conflitti che impediscono la Beatitudine, pertanto nutrono il falso io sofferenza; questo può accadere con la mera analisi dell’ego, priva della necessaria dose di consapevolizzazione. La consapevolizzazione non è soltanto il riconoscimento di qualcosa, è soprattutto la trasformazione positiva dell’elemento in questione, in sostanza: l’armonizzazione delle sue vibrazioni con la vibrazione Beatitudine; processo questo che può essere definito come aprire la porta all’Amore, Beatitudine. 
    Aiutare il superamento delle remore che impediscono di affermare Sono Dio, è una ragione aggiuntiva per cui utilizzo il termine Ego Dio. Sono Dio, è un’affermazione che potrebbe essere portatrice di superbia spirituale, egocentrismo, narcisismo e delirio di onnipotenza, ma quando scaturisce dalla Beatitudine, è semplicemente la naturale, veritiera, constatazione di Sé Stessi. Può, altresì, essere un’asserzione meditativa molto positiva per liberarci dal falso io e scoprirCi Dio: la Verità vi renderà liberi, la Verità è Dio Beatitudine, affermare consapevolmente Sono Dio favorisce la liberazione dalla menzogna sofferenza in favore della Verità Sé. L’importante è che il concetto Sono Dio non venga riferito al falso io, associato alle idee sono il corpo, sono le emozioni sono i pensieri. Deve, anzi, favorire il superamento di queste identificazioni, altrimenti può veramente nutrire il delirio di onnipotenza e la superbia spirituale, essere espressione di narcisismo ed egocentrismo. 
    Dio Origine (Assoluto) è l’Onnipotente, l’Onnipotenziale. La Beatitudine è la base dell’Onnipotenza esperienziale, è il tramite più diretto per manifestare positivamente le Potenzialità dell’Origine. La Beatitudine è l’Amore e più siamo vicini ad Amare, più possiamo manifestare il Bene: tendere all’Onnipotenza esperienziale è molto positivo, esige la maturazione della capacità di Amare e più siamo Potenti in nome dell’Amore, più possiamo aiutare noi stessi e il prossimo. Il concetto che tutto è possibile, oltre che come ogni soluzione positiva è possibile, andrebbe inteso come ogni problema è possibile: Dio Origine, in quanto Vuoto Assoluto, è il Potenziale di tutto ciò che può essere manifestato, la manifestazione veramente positiva esige immensa consapevolezza, la sofferenza e i problemi dell’umanità sono la dimostrazione della nocività dell’inconsapevolezza che manifesta negativamente il Potenziale Originario, Dio Origine. Il falso io può soltanto immaginare di essere Potente, mentre la sua limitatezza lo rende profondamente impotente: il falso io è di per sé un delirio, ancora di più lo è quando si immagina Potente. Il modo veramente efficace per liberarsi dall’attaccamento al potere è divenire il Potere esperienziale stesso, il Potere Beatitudine - Amore. Per farlo dobbiamo liberarci dal falso io, trasformando l’intero campo esperienziale in Ego Dio, Beatitudine. 

    Beatitudine, egoismo ed egocentrismo
    In quanto senza distinzione in conoscitore e conosciuto, l’Ego Dio non è mai toccato da egoismo ed egocentrismo, anche perché esigono la differenziazione io-noi io, mentre la Beatitudine è senza divisione. Egoismo ed egocentrismo sono espressioni distorte dell’Ego Dio e fanno parte del falso io. 
    Nella Beatitudine, quasi paradossalmente, non c’è spazio né per l’egoismo né per l’altruismo: l’Ego Dio è l’Amore senza distinzione in conoscitore e conosciuto; questo non significa che chi Ama non è altruista, vuole significare che l’Amore è senza dualità: l’altruismo può essere un modo di relazionarsi di chi Ama, o perlomeno vuole bene, ma l’Amore è puro Essere in Sé. 
    L'egocentrico si pone al centro di ogni esperienza, non considerando gli altri e le loro esigenze, non possiede empatia. L’Ego Dio esperienziale (Beatitudine) non può essere minimamente egocentrico, anche perché la Beatitudine è profondamente empatica ed è l’esperienza integrale, senza un centro esperienziale, nel senso di un io separato dal resto delle esperienze, l’Ego Beatitudine non contempla un io parziale che osserva il resto del mondo separatamente. Essendo la Beatitudine pura consapevolezza sempre uguale a se stessa (logico, altrimenti non sarebbe Beatitudine!), ogni suo “punto” è il suo centro esperienziale: la Beatitudine “osserva” sempre se stessa con tutta Sé e quando l’intero nostro esserci (campo esperienziale) è Beatitudine, il nostro intero esserci è il nostro centro esperienziale, diciamo così, non locale, anche se posto nel tempospazio. Andrebbe considerato che nella Beatitudine applicata alla percezione ci sono centri secondari di osservazione, dettati dai sensi: ognuno di noi osserva il mondo dalla propria prospettiva, ma si tratta comunque di un’autoosservazione della nostra percezione, che produce l’esperienza mondo in lei stessa. La percezione pervasa interamente dalla Beatitudine osserva se stessa nobilitata dall’esperienza Uno (Beatitudine), in cui le varie forme accadono senza esperienza di separazione o unità, perché non c’è distinzione tra conoscitore e conosciuto. Ricordiamoci che non percepiamo un mondo esterno, che in quanto tale non esiste, ma produciamo in noi stessi la nostra esperienza chiamata mondo. Il mondo percepito avviene nella percezione, altrimenti non ci sarebbe questo mondo percepito, e la nostra percezione non può essere esterna rispetto a noi stessi. Si tratta di una verità che possiamo dedurre tramite un’analisi logica dei processi, senza una pari maturazione della consapevolezza, ma è meglio diventare questa verità constatandola come testimoni diretti, perché osserviamo il nostro mondo avvenire nel Vuoto mentale, Beatitudine in tutto l’esserci.
Essendo la Beatitudine pura Conoscenza in essere, senza distinzione in conoscitore e conosciuto, non ha un punto di osservazione preciso: sperimenta tutta se stessa con se stessa, anche perché è ovunque uguale a se stessa. I punti di osservazione specifici, localizzati, sono prodotti dalla percezione sensoriale, mentre la Beatitudine esiste a prescindere dei sensi, che esistono grazie alla Beatitudine, senza la quale, in quanto esperienza primaria, non potrebbero esistere nemmeno le esperienze che definiamo sensi.
    La Beatitudine integrata nella percezione può perdere molto leggermente la caratteristica di Uno esperienziale, perché le forme prodotte dalla percezione sollecitano una minima distinzione tra conoscitore e conosciuto. Conoscere la Beatitudine senza attività percettiva, scopribiLe soprattutto in meditazione profonda, permette comunque di “traslare” il Sapere sulla pura Conoscenza senza distinzione in conoscitore, alla Beatitudine applicata all’attività sensoriale: possiamo così sapere che pur provando una minima distinzione tra conoscitore e conosciuto, tutte le forme si producono nel nostro campo esperienziale senza separazione e che alla base, in quanto Beatitudine, è senza distinzione tra soggetto e oggetto. Tra l’altro, il nostro campo esperienziale non può essere mai separato da se stesso, frazionato in vari campi veramente separati tra di loro: la separazione non esiste veramente, è soltanto un’esperienza, causata dal differire delle esperienze dalla qualità esperienziale di base, che è la Beatitudine. La consapevolezza di tutto ciò può maturare anche “ad occhi aperti”: più ci immergiamo in Noi più vediamo scomparire i confini del (nostro) mondo, fino alla sparizione completa della percezione mondo, per scoprirsi Beatitudine senza mondo e osservare il dissolversi della Beatitudine in favore dell’Estinzione, che è senza campo esperienziale e della quale possiamo diventare consapevoli (che è stata) unicamente con il riemergere della Beatitudine; l’Estinzione è senza esperienza, non possiamo essere consapevoli dell’Estinzione in atto. 

    Beatitudine ed empatia
    La Beatitudine è profondamente empatica, ma è anche non empatica. Scrivo così,presupponendo, solo ipoteticamente, l’esistenza di un confine netto tra non empatia ed empatia. La non empatia non esiste: seppur minimamente, ognuno di noi è in una certa misura empatico, l’Amore alla base di ogni essere rende impossibile la non comunanza con il prossimo. Consideriamo che anche quella che si percepisce come persona da odiare, è una nostra percezione, pertanto esperienza interiore (non esistono esperienze esteriori), che si basa sull’Amore; l’Amore è la base esperienziale senza la quale non ci può essere alcun’altra esperienza. 
La Beatitudine non è empatica nel senso che essendo senza distinzione in conoscitore e conosciuto, non ha verso chi essere empatica; ricordiamoci che tutta la Beatitudine e tutte le forme che possiamo percepire sono nostre esperienze di noi stessi. Verrebbe da scrivere: pur essendo l’Amore stesso, la Beatitudine non è empatica, invece, la verità è che la Beatitudine non è empatica, proprio perché è l’Amore, che è senza distinzione in amante e amato. 
    La Beatitudine è però altresì profondamente empatica, anche perché con l’espansione delle Beatitudine, dalla base del nostro esserci nell’intero nostro esserci, superiamo l’esperienza separazione, scoprendo, prima, l’unità tra conoscitore e conosciuto e, poi, la pura Conoscenza in essere (Beatitudine) senza distinzione in conoscitore e conosciuto; questo ci permette di sentire sempre più comunanza con gli altri e produce compassione, che è empatia: la vera solidarietà inizia con la fine della percezione separazione.
    Considerando la compassione come fenomeno positivo, siamo giustamente obbligati a non intenderlo come patire con gli altri, come soffrire causa sofferenza altrui, perché questo produrrebbe la “moltiplicazione della sofferenza”, rendendo la compassione un fenomeno non propriamente positivo. Essere compassionevoli significa aiutare il mondo, il problema primario delle persone è la sofferenza, causata primariamente dall’ignoranza di Sé: aiutare il mondo sostanzialmente significa favorirne l’affrancamento dall’afflizione, per realizzare ciò concretamente dobbiamo liberarci dalla sofferenza, per condividere Beatitudine, pura Conoscenza dil Sé, del Sé. Nel senso più profondo del termine, l’empatia implica la Beatitudine imperturbabile; precisazione: non potendo essere diversa da Sé, la Beatitudine è sempre inalterabile, con l’espressione Beatitudine imperturbabile intendo il suo mantenimento nell’intero esserci, seppur sottoposto all’influenza dell’afflizione altrui. L’empatia vera e propria può essere definita come modalità spontanea della Beatitudine di relazionarsi in modo illuminante con la sofferenza altrui, senza esserne coinvolta. Più soffriamo, diciamo così, a causa altrui, meno possiamo aiutarlo a liberarsi dalla sofferenza, mentre le vibrazioni della nostra Beatitudine favoriscono l’armonizzazione con la Beatitudine delle vibrazioni dell’altrui afflizione, diminuendola. www.andreapangos.it

venerdì 7 febbraio 2014

L'affermazione sono Dio



Sono Dio, è un’affermazione che potrebbe essere portatrice di superbia spirituale, egocentrismo, narcisismo e delirio di onnipotenza, ma quando scaturisce dalla Beatitudine, è semplicemente la naturale, veritiera, constatazione di Sé Stessi. Può, altresì, essere un’asserzione meditativa molto positiva per liberarci dal falso io e scoprirCi Dio: la Verità vi renderà liberi, la Verità è Dio Beatitudine, affermare consapevolmente Sono Dio favorisce la liberazione dalla menzogna sofferenza in favore della Verità Sé. L’importante è che il concetto Sono Dio non venga riferito al falso io, associato alle idee sono il corpo, sono le emozioni sono i pensieri. Deve, anzi, favorire il superamento di queste identificazioni, altrimenti può veramente nutrire il delirio di onnipotenza e la superbia spirituale, essere espressione di narcisismo ed egocentrismo.  www.andreapangos.it

Beatitudine ed empatia

     La Beatitudine è profondamente empatica, anche perché con l’espansione delle Beatitudine, dalla base del nostro esserci nell’intero nostro esserci, superiamo l’esperienza separazione, scoprendo, prima, l’unità tra conoscitore e conosciuto e, poi, la pura Conoscenza in essere (Beatitudine) senza distinzione in conoscitore e conosciuto; questo ci permette di sentire sempre più comunanza con gli altri e produce compassione, che è empatia: la vera solidarietà inizia con la fine della percezione separazione. Considerando la compassione come fenomeno positivo, siamo giustamente obbligati a non intenderlo come patire con gli altri, come soffrire causa sofferenza altrui, perché questo produrebbe la “moltiplicazione della sofferenza”, rendendo la compassione un fenomeno non propriamente positivo. Essere compassionevoli significa aiutare il mondo, il problema primario delle persone è la sofferenza, causata primariamente dall’ignoranza di Sé: aiutare il mondo sostanzialmente significa favorirne l’affrancamento dall’afflizione, per realizzare ciò concretamente dobbiamo liberarci dalla sofferenza, per condividere Beatitudine, pura Conoscenza dil Sé, del Sé. Nel senso più profondo del termine, l’empatia implica la Beatitudine imperturbabile; precisazione: non potendo essere diversa da Sé, la Beatitudine è sempre inalterabile, con l’espressione Beatitudine imperturbabile intendo il suo mantenimento nell’intero esserci, seppur sottoposto all’influenza dell’afflizione altrui. L’empatia vera e propria può essere definita come modalità spontanea della Beatitudine di relazionarsi in modo illuminante con la sofferenza altrui, senza esserne coinvolta. Più soffriamo a causa altrui, meno possiamo aiutarlo a liberarsi dalla sofferenza, mentre le vibrazioni della nostra Beatitudine favoriscono l’armonizzazione con la Beatitudine delle vibrazioni dell’altrui afflizione, diminuendola. www.andreapangos.it

giovedì 6 febbraio 2014

Beatitudine ed ego

La Beatitudine può essere considerata come Ego Divino, più precisamente l’Ego Dio: Dio Beatitudine non è Beato, è la Beatitudine stessa. Letteralmente, Ego significa io e, in questo senso, la Beatitudine è il puro Ego esperienziale. 
L’ego può essere considerato come punto focale dell’esperienza di esserci, la coscienza di sé con le idee che l’uomo ha di sé: chi non si conosce senza pensieri, emozioni e percezioni, è obbligato a definirsi concettualmente; certo, anche determinarsi come Beatitudine esige il mondo concettuale, ma è una definizione che riguarda l’ambito che precede il mondo delle idee.  L’ego fuorviante si forma dall’identificazione con il corpo fisico, le emozioni, i pensieri. L’ego Giusto nasce dalla Beatitudine, soprattutto se nobilitata dalla consapevolezza sull’Origine, che è l’Io Reale: Sussisto Origine della Beatitudine che Sono.    
L’ego è eliminabile solo con la morte, finché produciamo esperienze e idee siamo destinati a produrre ego. Ciò che possiamo, dovremmo, fare è migliorarlo, trasformandolo: consapevolizzandoci! Attenzione, arricchendo l’ego con idee che soltanto ci sembrano migliori ci impoveriamo, dobbiamo maturare idee giuste su noi stessi, concetti che non possono prescindere dalla consapevolezza di Sé Beatitudine ed Origine. Dovremmo, inoltre, considerare che l’Ego Divino può comparire solo con la scomparsa di ogni idea: la Beatitudine è  senza pensieri, l’Origine senza esperienze.  
In quanto senza distinzione in conoscitore e conosciuto, l’Ego Divino non è mai toccato dall’egoismo, dall’egocentrismo e dal narcisismo, anche perché questi tre fenomeni esigono la differenziazione io-noi io, mentre la Beatitudine è senza divisione. Egoismo, egocentrismo e narcisismo sono espressioni distorte dell’Ego Divino e fanno parte del falso io. Nella Beatitudine non c’è spazio per l’egoismo, ma nemmeno per l’altruismo, perché l’Ego Divino è l’Amore senza distinzione in conoscitore e conosciuto; questo non significa che chi Ama non è altruista, vuole significare che l’Amore è senza dualità: l’altruismo può essere un modo di relazionarsi di chi Ama, o perlomeno vuole bene, ma l’Amore è puro Essere in Sé.
L’ego va eliminato nel senso che per Illuminarsi di Vero Io bisogna liberarsi dal falso io. L’attaccamento alla propria particolarità è, chiaramente,  un ostacolo per liberarsi dalle idee sbagliate su se stessi. Per non incorrere nel rischio di ornarsi di ulteriori vincoli, con fuorvianti elucubrazioni sull’identificazione e sulle pecularietà del falso io, può essere molto utile semplificarsi la guarigione dal falso io, considerando che essendo la Beatitudine il Vero Sé, la sofferenza è il falso sé, del quale fanno parte tutti i nostri processi che generano afflizione. Liberarsi dal falso io significa, sostanzialmente, guarire il campo esperienziale, liberandolo dall’afflizione, in modo da far regnare l’Amore, che è sempre senza sofferenza.
L’ego va trasformato consapevolmente, non combattuto dualisticamente, soprattutto maturando la capacità di produrre Beatitudine. Favorire il concetto e il processo di trasformazione dell’ego, in modo da diminuire i conflitti  con  lo stesso ego (che sono autoconflitti dell’ego), è un’altra ragione per cui associo il concetto di Ego Divino alla Beatitudine.
Assalire l’ego può facilmente produrre conflitti che impediscono la Beatitudine, pertanto nutrono il falso io sofferenza; questo può accadere con la mera analisi dell’ego, priva della necessaria dose di consapevolizzazione. La consapevolizzazione non è soltanto il riconoscimento di qualcosa, è soprattutto la trasformazione positiva dell’elemento in questione, in sostanza: l’armonizzazione delle sue vibrazioni con la vibrazione Beatitudine; processo questo che può essere definito come aprire la porta all’Amore (Beatitudine). www.andreapangos.it

mercoledì 5 febbraio 2014

Beatitudine, contemplazione e Illuminazione

            La Beatitudine intesa come contemplazione significa la consapevolezza che la Beatitudine ha di Sè, l’autoosservazione della Beatitudine. Nel campo di presenza della Beatitudine esiste, chiaramente, soltanto Beatitudine e in questo senso la Beatitudine non può osservare, nel senso di sperimentare, altro che se stessa.
           Il significato di Beatitudine che contempla se stessa può però essere applicato a un fenomeno più ampio, che include il pensiero: è la constatazione che scaturisce dalla Beatitudine: Io Beatitudine osservo me stessa, sono consapevole di me stessa. Si tratta della verbalizzazione, che con il tempo diventa una specie di pensiero super silente, di uno stato da sempre in essere: della Beatitudine sempre consapevole di sé, anche quando ciò non è constatato, cioè non è definito concettualmente. è bene tenere presente che la Beatitudine è la pura Consapevolezza e pertanto non può non essere consapevole di sé, ma a questa consapevolezza innata, può essere aggiunta la consapevolezza concettuale: Sono Beatitudine che si autoosserva. Andrebbe considerato che questa constatazione non fa parte delle Beatitudine, ma scaturisce dalla Beatitudine e vibra prossima ad essa: la Beatitudine è perennemente esente da pensieri.  In questo caso, il pensiero permette la nobilitazione della Beatitudine, nel senso che oltre a se stessa, la Beatitudine può constatare (possiamo dire che è la Beatitudine a constatare, perché l’intero campo esperienziale è Beato) anche ciò che non è Beatitudine, può cioè essere consapevole della sofferenza altrui. Chiaramente, quando produciamo Beatitudine come unica esperienza, tutto ciò che appare nel nostro campo esperienziale è Beatitudine e, pertanto, limitatamente al nostro campo esperienziale, essa può constatare unicamente Beatitudine. Può però essere consapevole della sofferenza altrui, nel senso che grazie all’attività cognitiva può definire che gli altri soffrono, senza comunque essere turbata dall’afflizione.
          L’Illuminazione vede ovunque se stessa, anche perché il mondo appare illuminato nella percezione Illuminata, ma questo non significa che tutti sono Illuminati: si tratta dell’Illuminazione del singolo campo esperienziale, caratterizzato dalla Beatitudine, nella quale appaiono in modo Illuminato le percezioni definite altri; ma questo non significa che gli altri si sono effettivamente Illuminati, ciò che noi percepiamo e definiamo come altri, non sono veramente gli altri, ma esperienze che produciamo in noi stessi come conseguenza dell’elaborazione percettiva dei processi prodotti dagli altri in questione.
           Se il mondo fosse tutto illuminato, se tutti fossimo già illuminati, come affermano alcuni, non ci sarebbero guerre, malattie, povertà, terrorismo, brutalità, menzogna;  è importante pensare consapevolmente, altrimenti si rischia di dare delle informazioni inesatte, facilmente confutabili, che possono produrre pappagallismo spirituale. 

           Basandosi sulla verità che alla base del nostro esserci c’è sempre Beatitudine,  alcuni sostengono che non c'è chi si illumina. In un certo senso, questo è vero: là dove iniziano le nostre esperienze siamo già Illuminati; anche se per essere più precisi, la Beatitudine non si illumina, è la Luce esperienziale stessa. Espandendosi nel campo esperienziale, la Beatitudine lo illumina sempre più, liberandolo dalla sofferenza, fino a produrre l’Illuminazione; pertanto c’è, eccome, chi si illumina: il nostro campo esperienziale. www.andreapangos.it

martedì 4 febbraio 2014

Beatitudine e Illuminazione, doni Divini?

        Definire la Beatitudine e l’Illuminazione come dono Divino può essere un concetto fuorviante: la Beatitudine è il Divino stesso, inteso come Dio Beatitudine, ineluttabilmente presente, perlomeno, alla base del nostro esserci. Il manifestarsi della Divinità Beatitudine nell’intero campo esperienziale è un dono, immenso, che l’uomo dona a se stesso. Il Divino tende incessantemente a esprimersi attraverso tutto ciò che l’uomo produce, ma a causa della falsità esistenziale ereditata, basata su concetti inconsapevolizzanti, il Divino si realizza raramente nell’intero spazio temporale prodotto dall’individuo. Considerando le innumerevoli ragioni della sofferenza e le attività illuminanti necessarie a liberare lo spazio per la Beatitudine, risulta chiaro che espandere la Beatitudine in tutto il campo esperienziale è un dono che facciamo a noi stessi. Certo, la Spontaneità Divina (Beatitudine) appare quando cessa lo sforzo, ma affinché emerga bisogna rendere possibile ciò. Certo, per far emergere la Beatitudine è necessario rivolgersi al Divino in forma di preghiera, meditazione, indagine conoscitiva, attività creativa o di abbandono al Divino, e in questo senso la partecipazione del Divino è indispensabile, ma senza la nostra attitudine illuminante non si creerebbero nemmeno le condizioni per il presentarsi del Divino; andrebbe considerato che oltre a essere indispensabile, la partecipazione Divina è inevitabile: ciò che potrebbe essere considerato aiuto Divino all’uomo, dalla prospettiva del Divino è semplicemente il suo spontaneo tendere ad esprimersi. Non dovremmo inoltre, dimenticare, che Dio Beatitudine fa parte dell’uomo stesso, siamo noi a produrre in noi stessi la Beatitudine, pertanto l’aiuto del Divino all’uomo, è una conseguenza dell’aiutarsi dell’uomo, che si manifesta grazie alla giusta, illuminante, comunicazione interiore.  www.andreapangos.it

sabato 18 gennaio 2014

Beatitudine, emozioni e quotidianità

Le attività quotidiane esigono il pensiero e l’attività percettiva e per Illuminare la vita dobbiamo integrare questi due elementi nella Beatitudine. Discorso diverso vale per le emozioni, la Beatitudine è senza emozioni.  Le emozioni positive rendono certamente la vita più viva e le emozioni negative la fanno morire, ma ogni emozione, compresa la gioia, impedisce la pienezza della vita: soltanto la Beatitudine è un’esperienza totale. Le emozioni sono sempre esperienze parziali, che segmentano la vita, impedendo di ViverCi pienamente. Ben vengano, comunque le emozioni positive, soprattutto come percorsi di avvicinamento alla Beatitudine, ma anche come spontaneo modo di manifestarsi della Consapevolezza Totale. 
La vita che non produce emozioni perché Beata, è sicuramente migliore di una vita che produce emozioni, seppur qualitative. Da un certo punto di vista, la realizzazione emotiva è positiva, ma osservando più propriamente è limitante. Essendo le emozioni sperimentazioni parziali, si tratta della realizzazione di elementi limitati, pertanto limitanti. Dovremmo, invece, ambire all’Immenso e all’Infinito. Dovremmo cercare la Libertà esperienziale, che è la Beatitudine (Immenso), unita alla consapevolezza riguardo l’Infinito (Origine, Assoluto). Le emozioni sono sempre caratterizzate dalla dipendenza, cioè attaccamento, anche nel senso che non sono esperienze autonome: unicamente la Beatitudine esiste a prescindere dalle altre esperienze, è l’unica esperienza alla base di se stessa; le emozioni dipendono sempre alla Beatitudine e producono dipendenza anche perché dipendono da altre emozioni, oltre che dai pensieri e dall’attività percettiva. Per migliorare la vita dobbiamo necessariamente trasformarci da cercatori di emozioni forti, in ricercatori della Forza Beatitudine: la vita percepita è sempre esperienza e la Beatitudine è l’esperienza di massima qualità, rispetto alla quale ogni emozione è sofferenza, anche la gioia.     
I concetti appena espressi non dovrebbero significare che bisogna negare l’importanza dei rapporti, andrebbero interpretati come informazioni per aumentare la qualità del rapporto, con altri e con noi stessi; quando non siamo l’Uno esperienziale (Beatitudine) conteniamo una massa  di piccoli io in rapporto tra loro, “io” prodotti anche a causa della frammentazione emotiva: ricchezza di emozioni significa anche anche povertà di Sé. Per produrre rapporti veramente sani dobbiamo Sanarci, evolvendoci verso l’Uno esperienziale consapevole dell’Uno Reale (Assoluto, Origine), anche passando dal tendere alla realizzazione emotiva, che sarà sempre parziale e contraddistinta da alti e bassi emozionali, al tendere a realizzare la Beatitudine nei rapporto, più precisamente: i rapporti nella Beatitudine. La realizzazione emotiva è sostanzialmente la realizzazione dell’instabilità, mentre ciò che cerchiamo veramente è la stabilità; per esempio, un rapporto stabile. 
Più siamo consapevoli, meno rischiamo di entrare nelle dinamiche negative del rapporto e più siamo capaci di convogliare le dinamiche altrui, trasformandole positivamente, soprattutto tramite la spontanea revisione limbica, anche grazie alla nostra maggior forza e qualità vibrazionale-energetica. Non dovremmo mai entrare nei deliri altrui: la Beatitudine è la soluzione Vera ai problemi emotivi, l’unica che può dare certezza esperienziale, la certezza emotiva è solo parvente. Imparare a produrre Beatitudine come esperienza costante significa integrazione della Beatitudine nella vita emotiva, che cessa di essere tale perché diventa Beata, trasformando le energie delle emozioni in energia Beatitudine. 
Nota: le emozioni sono esperienze parziali, mentre la Beatitudine è l’esperienza integrale, per vari motivi. Primo, tutte le emozioni si basano sulla Beatitudine, le loro vibrazioni sono distorsioni e ramificazioni della vibrazione Beatitudine, che è la vibrazione esperienziale portante: le emozioni sono esperienze distorte dell’esperienza Beatitudine, unica sperimentazione senza distorsione - Beatitudine è Armonia! Secondo, non esiste emozione che possa permeare tutto il campo esperienziale, anche perché alla base del nostro esserci (base che è il confine/nesso tra  l’esperienza di esserci e la sua assenza) produciamo in ogni caso unicamente Beatitudine. Terzo, le emozioni sono accompagnate dai pensieri, che sono esperienze, e questo impossibilità a un’emozione di permeare l’interro spettro esperienziale. La Beatitudine, invece, può permeare l’intero campo esperienziale e per ottenere ciò dobbiamo produrre il Vuoto mentale, quando ogni esperienza è Beatitudine.  www.andreapangos.it

giovedì 16 gennaio 2014

Spontaneità e meccanicità

La meccanicità è la ripetitività caratterizzata dalla sofferenza, è il ripetersi di modelli concettuali, emotivi e comportamentali fondati sull’afflizione. 
Può esserci ripetitività anche durante la Spontaneità (Beatitudine), per esempio nel modo acquisito di sedersi o di gesticolare, ma si tratta comunque di Spontaneità, perché si tratta di esperienze oggettuali (forme nel campo esperienziale) che avvengono sulla base dell’esperienza Beatitudine.
D’altro canto, può esserci creatività con sofferenza, ma è condizionata dalla meccanicità. La vera creatività, gli spunti veramente originali, nascono generalmente dalla Spontaneità (o da stati prossimi ad essa), alla quale gli artisti si avvicinano tramite lo stato di flow, il quale può emergere anche come conseguenza della sofferenza, per esempio quando termina l’energia necessaria per i conflitti interiori e la mente si quieta; si tratta chiaramente di un approccio negativo allo stato di flusso, è molto meglio produrlo tramite la concentrazione creativa, da far sfociare in attenzione diffusa-stato di flusso e infine in Beatitudine, magari caratterizzata dalla Consapevolezza Totale.    
La meccanicità è contraddistinta della reattività e dall’impossibilità di osservare i pensieri, le emozioni e le percezioni, tra cui c’è l’esperienza  definita corpo. La Spontaneità, invece, è libera dalla reattività, anche perché non produce emozioni, perché c’è solo Beatitudine, mentre i pensieri che può produrre sono caratterizzati dalla piena consapevolezza, le loro vibrazioni sono profondamente armonizzate con la vibrazione Beatitudine. 
 La meccanicità è profonda, negativamente inteso, nella misura in cui siamo superficiali. La Spontaneità è, invece, profondità senza superficialità: esigendo la Beatitudine, che è l’Uno esperienziale, la Spontaneità è azione globale senza suddivisione in superficiale-profondo, anche perché la Beatitudine è l’esperienza più profonda, e quando emerge a permeare l’intero campo esperienziale lo eguaglia a se stessa, dissolvendo così la dualità superficie-profondità. 
La meccanicità è l’azione con sforzo dell’agente che agisce “separato” dal campo d’azione. La Spontaneità è l’Azione senza sforzo, senza diversificazione  tra agente, azione e campo d’azione, la Beatitudine è l’esperienza-azione integrale, l’Azione chiamata Uno esperienziale. La meccanicità è l’onda che cerca di agire nell’Oceano, la Spontaneità è l’Oceano che agisce, non solamente sull’onda.  
Quando siamo governati dalla meccanicità, c’è discontinuità tra la parte spirituale (Beatitudine ed elementi che la precedono) e la parte materiale, così la nostra parte fisica diventa un automatismo che risponde meccanicamente, senza consapevolezza, alle sollecitazioni esteriori ed interiori, rendendoci automi  senza presenza del Divino (Beatitudine e ciò che la precede): per valorizzare la nostra umanità dobbiamo aprirci alla Beatitudine, liberandoci dai meccanismi biochimici, energetici, emotivi e concettuali, per dar vita all’Umanità.
La Beatitudine è l’unica esperienza che rende possibile la non meccanicità, più ci avviciniamo a produrre unicamente Beatitudine nell’intero campo conoscitivo (esperienziale), più ci liberiamo dalla meccanicità. Essendo la Beatitudine senza emozioni, ne consegue che la presenza di emozioni implica una certa dose di meccanicità, che diminuisce con l’aumentare della consapevolezza emotiva, cioè della capacità di osservare le emozioni e trasformare la loro energia in energia Beatitudine, che uno dei modi di trasformare le energie duali, in questo caso le energie delle emozioni, in modo da aumentare la produzione di energia non duale, in questo caso dell’energia Beatitudine.  www.andreapangos.it

venerdì 10 gennaio 2014

Volontà, idea di sé e Illuminazione

La volontà è anche un aspetto della realizzazione dell’idea(le) di sé, che è l’identità immaginata. La volontà permette di orientare i processi verso la realizzazione di uno scopo che, se realizzato, porterà l’uomo non sufficientemente consapevole ad aumentare il valore che si attribuisce, oppure, in caso di non conseguimento della meta, a diminuire lo stesso valore: egli tende a definirsi anche in base a ciò che possiede e tutto ciò che ottiene fa parte del suo possedere, pertanto del suo definirsi in base a ciò che ha prodotto. L’uomo Illuminato è, invece, consapevole che qualsiasi cosa faccia non può aggiungere o togliere nulla a ciò  che si è in Realtà (Origine, Sé Reale); tra l’altro, questo gli permette di agire senza attaccamento all’azione e ai suoi frutti. 
La realizzazione di uno scopo aumenta il piacere di sé, il piacersi, il definirsi più piacevolmente, migliori. Ne consegue che il desiderio di realizzare lo scopo deriva dal bisogno di maggior appagamento: ciò che veramente cerchiamo è la realizzazione di un maggior piacere, non dello scopo di per sé, lo scopo è solo lo strumento. Il piacere è però effimero, dopo il culmine di piacere avviene il calo della qualità esperienziale, da ciò possiamo dedurre che cercare la realizzazione dello scopo, per provare piacere e piacersi di più, anche piacendo ad altri, è un comportamento solo apparentemente razionale. Il comportamento razionale tende direttamente alla Beatitudine, che esiste a prescindere dal piacere prodotto dall’attività sensoriale, pertanto dai raggiungimenti esteriori, che in verità sono esperienze interiori, prodotti dalla percezione, anche grazie  ai cinque sensi. Per usare intelligentemente l’intelligenza dobbiamo maturare la capacità di produrre Appagamento (Beatitudine) a prescindere da ciò che accade “esteriormente”. Dobbiamo renderci strumento di Beatitudine, sviluppandoci come metodo illuminante sempre più efficace nel liberarci dalla sofferenza e produrre Appagamento; questo anche per esprimere l’Appagamento conseguito,  attraverso il piacere sensoriale, ma senza attaccamento al mondo dei sensi, il che è una delle chiavi per l’integrazione della Spiritualità nella pratica vita quotidiana. Attaccamento significa dipendenza ed è ciò che ci impedisce la Beatitudine, perché dipendiamo dall’afflizione: produrre i piaceri della vita,  differenziandosi solo infinitesimalmente dalla Beatitudine permette di godersi la vita consapevolmente, senza attaccamento alla vita e ai suoi segmenti.       
Si può obiettare che l’Illuminazione è uno scopo quasi impossibile da raggiungere, questo è vero se non disponiamo di strumenti qualitativi per Illuminarci, mentre se abbiamo gli strumenti necessari e li utilizziamo come dovuto, l’Illuminazione è cosa praticamente certa. Uno dei problemi relativi all’Illuminazione è ritenerla una questione di speranza, mentre è questione di certezza: facendo le cose necessarie per Illuminarsi, l’Illuminazione è certa, non facendole è sicuro che non ci illumineremo. 
Dalla nostra prospettiva siamo noi stessi lo strumento di illuminazione primario, senza noi non può esserci nemmeno la nostra Illuminazione, e per iniziarci come apparato illuminante dobbiamo generare l’intenzione di illuminarci, inziarci come percorso verso l’Illuminazione, altrimenti non possiamo maturare la volontà illuminante.
Si può inoltre obiettare che pochi sono destinati alla ricerca spirituale. Invece, la  ricerca spirituale è destinata praticamente a tutti, alla moltitudine  che cerca la liberazione dalla sofferenza; nel senso che la maturazione della consapevolezza è l’unica vera risposta per liberarsi dall’afflizione. La Beatitudine è anche libertà totale dalla sofferenza e per fruire meglio del potenziale illuminante insito in noi stessi, dovremmo intendere la ricerca spirituale come percorso diretto verso l’Illuminazione, in modo da dare una direzione chiara al nostro cammino spirituale. Avendo, invece, l’intenzione generica di liberarci dalla sofferenza, non definiamo chiaramente la nostra meta e così concorriamo alla creazione di un percorso impreciso, non diretto, con il rischio di fraintendere la spiritualità, intendendola magari come percorso di sofferenza e verso la sofferenza, accusandoci di essere dei gran peccatori che devono espiare i propri peccati, soffrendo. Sapere cosa non vogliamo, in questo caso produrre afflizione, è positivo, ma è molto meglio sapere cosa vogliamo e non volendo più soffrire dobbiamo porci come meta l’Illuminazione, che implica la Beatitudine come esperienza preponderante, a prescindere da ciò che accade “esteriormente”; questo non significa negare l’esistenza della “realtà quotidiana”, vuole dire poter valorizzarla pienamente e comprendere profondamente l’importanza della vita come processo di autorealizzazione Divina. www.andreapangos.it