mercoledì 5 febbraio 2014

Beatitudine, contemplazione e Illuminazione

            La Beatitudine intesa come contemplazione significa la consapevolezza che la Beatitudine ha di Sè, l’autoosservazione della Beatitudine. Nel campo di presenza della Beatitudine esiste, chiaramente, soltanto Beatitudine e in questo senso la Beatitudine non può osservare, nel senso di sperimentare, altro che se stessa.
           Il significato di Beatitudine che contempla se stessa può però essere applicato a un fenomeno più ampio, che include il pensiero: è la constatazione che scaturisce dalla Beatitudine: Io Beatitudine osservo me stessa, sono consapevole di me stessa. Si tratta della verbalizzazione, che con il tempo diventa una specie di pensiero super silente, di uno stato da sempre in essere: della Beatitudine sempre consapevole di sé, anche quando ciò non è constatato, cioè non è definito concettualmente. è bene tenere presente che la Beatitudine è la pura Consapevolezza e pertanto non può non essere consapevole di sé, ma a questa consapevolezza innata, può essere aggiunta la consapevolezza concettuale: Sono Beatitudine che si autoosserva. Andrebbe considerato che questa constatazione non fa parte delle Beatitudine, ma scaturisce dalla Beatitudine e vibra prossima ad essa: la Beatitudine è perennemente esente da pensieri.  In questo caso, il pensiero permette la nobilitazione della Beatitudine, nel senso che oltre a se stessa, la Beatitudine può constatare (possiamo dire che è la Beatitudine a constatare, perché l’intero campo esperienziale è Beato) anche ciò che non è Beatitudine, può cioè essere consapevole della sofferenza altrui. Chiaramente, quando produciamo Beatitudine come unica esperienza, tutto ciò che appare nel nostro campo esperienziale è Beatitudine e, pertanto, limitatamente al nostro campo esperienziale, essa può constatare unicamente Beatitudine. Può però essere consapevole della sofferenza altrui, nel senso che grazie all’attività cognitiva può definire che gli altri soffrono, senza comunque essere turbata dall’afflizione.
          L’Illuminazione vede ovunque se stessa, anche perché il mondo appare illuminato nella percezione Illuminata, ma questo non significa che tutti sono Illuminati: si tratta dell’Illuminazione del singolo campo esperienziale, caratterizzato dalla Beatitudine, nella quale appaiono in modo Illuminato le percezioni definite altri; ma questo non significa che gli altri si sono effettivamente Illuminati, ciò che noi percepiamo e definiamo come altri, non sono veramente gli altri, ma esperienze che produciamo in noi stessi come conseguenza dell’elaborazione percettiva dei processi prodotti dagli altri in questione.
           Se il mondo fosse tutto illuminato, se tutti fossimo già illuminati, come affermano alcuni, non ci sarebbero guerre, malattie, povertà, terrorismo, brutalità, menzogna;  è importante pensare consapevolmente, altrimenti si rischia di dare delle informazioni inesatte, facilmente confutabili, che possono produrre pappagallismo spirituale. 

           Basandosi sulla verità che alla base del nostro esserci c’è sempre Beatitudine,  alcuni sostengono che non c'è chi si illumina. In un certo senso, questo è vero: là dove iniziano le nostre esperienze siamo già Illuminati; anche se per essere più precisi, la Beatitudine non si illumina, è la Luce esperienziale stessa. Espandendosi nel campo esperienziale, la Beatitudine lo illumina sempre più, liberandolo dalla sofferenza, fino a produrre l’Illuminazione; pertanto c’è, eccome, chi si illumina: il nostro campo esperienziale. www.andreapangos.it

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