sabato 18 gennaio 2014

Beatitudine, emozioni e quotidianità

Le attività quotidiane esigono il pensiero e l’attività percettiva e per Illuminare la vita dobbiamo integrare questi due elementi nella Beatitudine. Discorso diverso vale per le emozioni, la Beatitudine è senza emozioni.  Le emozioni positive rendono certamente la vita più viva e le emozioni negative la fanno morire, ma ogni emozione, compresa la gioia, impedisce la pienezza della vita: soltanto la Beatitudine è un’esperienza totale. Le emozioni sono sempre esperienze parziali, che segmentano la vita, impedendo di ViverCi pienamente. Ben vengano, comunque le emozioni positive, soprattutto come percorsi di avvicinamento alla Beatitudine, ma anche come spontaneo modo di manifestarsi della Consapevolezza Totale. 
La vita che non produce emozioni perché Beata, è sicuramente migliore di una vita che produce emozioni, seppur qualitative. Da un certo punto di vista, la realizzazione emotiva è positiva, ma osservando più propriamente è limitante. Essendo le emozioni sperimentazioni parziali, si tratta della realizzazione di elementi limitati, pertanto limitanti. Dovremmo, invece, ambire all’Immenso e all’Infinito. Dovremmo cercare la Libertà esperienziale, che è la Beatitudine (Immenso), unita alla consapevolezza riguardo l’Infinito (Origine, Assoluto). Le emozioni sono sempre caratterizzate dalla dipendenza, cioè attaccamento, anche nel senso che non sono esperienze autonome: unicamente la Beatitudine esiste a prescindere dalle altre esperienze, è l’unica esperienza alla base di se stessa; le emozioni dipendono sempre alla Beatitudine e producono dipendenza anche perché dipendono da altre emozioni, oltre che dai pensieri e dall’attività percettiva. Per migliorare la vita dobbiamo necessariamente trasformarci da cercatori di emozioni forti, in ricercatori della Forza Beatitudine: la vita percepita è sempre esperienza e la Beatitudine è l’esperienza di massima qualità, rispetto alla quale ogni emozione è sofferenza, anche la gioia.     
I concetti appena espressi non dovrebbero significare che bisogna negare l’importanza dei rapporti, andrebbero interpretati come informazioni per aumentare la qualità del rapporto, con altri e con noi stessi; quando non siamo l’Uno esperienziale (Beatitudine) conteniamo una massa  di piccoli io in rapporto tra loro, “io” prodotti anche a causa della frammentazione emotiva: ricchezza di emozioni significa anche anche povertà di Sé. Per produrre rapporti veramente sani dobbiamo Sanarci, evolvendoci verso l’Uno esperienziale consapevole dell’Uno Reale (Assoluto, Origine), anche passando dal tendere alla realizzazione emotiva, che sarà sempre parziale e contraddistinta da alti e bassi emozionali, al tendere a realizzare la Beatitudine nei rapporto, più precisamente: i rapporti nella Beatitudine. La realizzazione emotiva è sostanzialmente la realizzazione dell’instabilità, mentre ciò che cerchiamo veramente è la stabilità; per esempio, un rapporto stabile. 
Più siamo consapevoli, meno rischiamo di entrare nelle dinamiche negative del rapporto e più siamo capaci di convogliare le dinamiche altrui, trasformandole positivamente, soprattutto tramite la spontanea revisione limbica, anche grazie alla nostra maggior forza e qualità vibrazionale-energetica. Non dovremmo mai entrare nei deliri altrui: la Beatitudine è la soluzione Vera ai problemi emotivi, l’unica che può dare certezza esperienziale, la certezza emotiva è solo parvente. Imparare a produrre Beatitudine come esperienza costante significa integrazione della Beatitudine nella vita emotiva, che cessa di essere tale perché diventa Beata, trasformando le energie delle emozioni in energia Beatitudine. 
Nota: le emozioni sono esperienze parziali, mentre la Beatitudine è l’esperienza integrale, per vari motivi. Primo, tutte le emozioni si basano sulla Beatitudine, le loro vibrazioni sono distorsioni e ramificazioni della vibrazione Beatitudine, che è la vibrazione esperienziale portante: le emozioni sono esperienze distorte dell’esperienza Beatitudine, unica sperimentazione senza distorsione - Beatitudine è Armonia! Secondo, non esiste emozione che possa permeare tutto il campo esperienziale, anche perché alla base del nostro esserci (base che è il confine/nesso tra  l’esperienza di esserci e la sua assenza) produciamo in ogni caso unicamente Beatitudine. Terzo, le emozioni sono accompagnate dai pensieri, che sono esperienze, e questo impossibilità a un’emozione di permeare l’interro spettro esperienziale. La Beatitudine, invece, può permeare l’intero campo esperienziale e per ottenere ciò dobbiamo produrre il Vuoto mentale, quando ogni esperienza è Beatitudine.  www.andreapangos.it

giovedì 16 gennaio 2014

Spontaneità e meccanicità

La meccanicità è la ripetitività caratterizzata dalla sofferenza, è il ripetersi di modelli concettuali, emotivi e comportamentali fondati sull’afflizione. 
Può esserci ripetitività anche durante la Spontaneità (Beatitudine), per esempio nel modo acquisito di sedersi o di gesticolare, ma si tratta comunque di Spontaneità, perché si tratta di esperienze oggettuali (forme nel campo esperienziale) che avvengono sulla base dell’esperienza Beatitudine.
D’altro canto, può esserci creatività con sofferenza, ma è condizionata dalla meccanicità. La vera creatività, gli spunti veramente originali, nascono generalmente dalla Spontaneità (o da stati prossimi ad essa), alla quale gli artisti si avvicinano tramite lo stato di flow, il quale può emergere anche come conseguenza della sofferenza, per esempio quando termina l’energia necessaria per i conflitti interiori e la mente si quieta; si tratta chiaramente di un approccio negativo allo stato di flusso, è molto meglio produrlo tramite la concentrazione creativa, da far sfociare in attenzione diffusa-stato di flusso e infine in Beatitudine, magari caratterizzata dalla Consapevolezza Totale.    
La meccanicità è contraddistinta della reattività e dall’impossibilità di osservare i pensieri, le emozioni e le percezioni, tra cui c’è l’esperienza  definita corpo. La Spontaneità, invece, è libera dalla reattività, anche perché non produce emozioni, perché c’è solo Beatitudine, mentre i pensieri che può produrre sono caratterizzati dalla piena consapevolezza, le loro vibrazioni sono profondamente armonizzate con la vibrazione Beatitudine. 
 La meccanicità è profonda, negativamente inteso, nella misura in cui siamo superficiali. La Spontaneità è, invece, profondità senza superficialità: esigendo la Beatitudine, che è l’Uno esperienziale, la Spontaneità è azione globale senza suddivisione in superficiale-profondo, anche perché la Beatitudine è l’esperienza più profonda, e quando emerge a permeare l’intero campo esperienziale lo eguaglia a se stessa, dissolvendo così la dualità superficie-profondità. 
La meccanicità è l’azione con sforzo dell’agente che agisce “separato” dal campo d’azione. La Spontaneità è l’Azione senza sforzo, senza diversificazione  tra agente, azione e campo d’azione, la Beatitudine è l’esperienza-azione integrale, l’Azione chiamata Uno esperienziale. La meccanicità è l’onda che cerca di agire nell’Oceano, la Spontaneità è l’Oceano che agisce, non solamente sull’onda.  
Quando siamo governati dalla meccanicità, c’è discontinuità tra la parte spirituale (Beatitudine ed elementi che la precedono) e la parte materiale, così la nostra parte fisica diventa un automatismo che risponde meccanicamente, senza consapevolezza, alle sollecitazioni esteriori ed interiori, rendendoci automi  senza presenza del Divino (Beatitudine e ciò che la precede): per valorizzare la nostra umanità dobbiamo aprirci alla Beatitudine, liberandoci dai meccanismi biochimici, energetici, emotivi e concettuali, per dar vita all’Umanità.
La Beatitudine è l’unica esperienza che rende possibile la non meccanicità, più ci avviciniamo a produrre unicamente Beatitudine nell’intero campo conoscitivo (esperienziale), più ci liberiamo dalla meccanicità. Essendo la Beatitudine senza emozioni, ne consegue che la presenza di emozioni implica una certa dose di meccanicità, che diminuisce con l’aumentare della consapevolezza emotiva, cioè della capacità di osservare le emozioni e trasformare la loro energia in energia Beatitudine, che uno dei modi di trasformare le energie duali, in questo caso le energie delle emozioni, in modo da aumentare la produzione di energia non duale, in questo caso dell’energia Beatitudine.  www.andreapangos.it

venerdì 10 gennaio 2014

Volontà, idea di sé e Illuminazione

La volontà è anche un aspetto della realizzazione dell’idea(le) di sé, che è l’identità immaginata. La volontà permette di orientare i processi verso la realizzazione di uno scopo che, se realizzato, porterà l’uomo non sufficientemente consapevole ad aumentare il valore che si attribuisce, oppure, in caso di non conseguimento della meta, a diminuire lo stesso valore: egli tende a definirsi anche in base a ciò che possiede e tutto ciò che ottiene fa parte del suo possedere, pertanto del suo definirsi in base a ciò che ha prodotto. L’uomo Illuminato è, invece, consapevole che qualsiasi cosa faccia non può aggiungere o togliere nulla a ciò  che si è in Realtà (Origine, Sé Reale); tra l’altro, questo gli permette di agire senza attaccamento all’azione e ai suoi frutti. 
La realizzazione di uno scopo aumenta il piacere di sé, il piacersi, il definirsi più piacevolmente, migliori. Ne consegue che il desiderio di realizzare lo scopo deriva dal bisogno di maggior appagamento: ciò che veramente cerchiamo è la realizzazione di un maggior piacere, non dello scopo di per sé, lo scopo è solo lo strumento. Il piacere è però effimero, dopo il culmine di piacere avviene il calo della qualità esperienziale, da ciò possiamo dedurre che cercare la realizzazione dello scopo, per provare piacere e piacersi di più, anche piacendo ad altri, è un comportamento solo apparentemente razionale. Il comportamento razionale tende direttamente alla Beatitudine, che esiste a prescindere dal piacere prodotto dall’attività sensoriale, pertanto dai raggiungimenti esteriori, che in verità sono esperienze interiori, prodotti dalla percezione, anche grazie  ai cinque sensi. Per usare intelligentemente l’intelligenza dobbiamo maturare la capacità di produrre Appagamento (Beatitudine) a prescindere da ciò che accade “esteriormente”. Dobbiamo renderci strumento di Beatitudine, sviluppandoci come metodo illuminante sempre più efficace nel liberarci dalla sofferenza e produrre Appagamento; questo anche per esprimere l’Appagamento conseguito,  attraverso il piacere sensoriale, ma senza attaccamento al mondo dei sensi, il che è una delle chiavi per l’integrazione della Spiritualità nella pratica vita quotidiana. Attaccamento significa dipendenza ed è ciò che ci impedisce la Beatitudine, perché dipendiamo dall’afflizione: produrre i piaceri della vita,  differenziandosi solo infinitesimalmente dalla Beatitudine permette di godersi la vita consapevolmente, senza attaccamento alla vita e ai suoi segmenti.       
Si può obiettare che l’Illuminazione è uno scopo quasi impossibile da raggiungere, questo è vero se non disponiamo di strumenti qualitativi per Illuminarci, mentre se abbiamo gli strumenti necessari e li utilizziamo come dovuto, l’Illuminazione è cosa praticamente certa. Uno dei problemi relativi all’Illuminazione è ritenerla una questione di speranza, mentre è questione di certezza: facendo le cose necessarie per Illuminarsi, l’Illuminazione è certa, non facendole è sicuro che non ci illumineremo. 
Dalla nostra prospettiva siamo noi stessi lo strumento di illuminazione primario, senza noi non può esserci nemmeno la nostra Illuminazione, e per iniziarci come apparato illuminante dobbiamo generare l’intenzione di illuminarci, inziarci come percorso verso l’Illuminazione, altrimenti non possiamo maturare la volontà illuminante.
Si può inoltre obiettare che pochi sono destinati alla ricerca spirituale. Invece, la  ricerca spirituale è destinata praticamente a tutti, alla moltitudine  che cerca la liberazione dalla sofferenza; nel senso che la maturazione della consapevolezza è l’unica vera risposta per liberarsi dall’afflizione. La Beatitudine è anche libertà totale dalla sofferenza e per fruire meglio del potenziale illuminante insito in noi stessi, dovremmo intendere la ricerca spirituale come percorso diretto verso l’Illuminazione, in modo da dare una direzione chiara al nostro cammino spirituale. Avendo, invece, l’intenzione generica di liberarci dalla sofferenza, non definiamo chiaramente la nostra meta e così concorriamo alla creazione di un percorso impreciso, non diretto, con il rischio di fraintendere la spiritualità, intendendola magari come percorso di sofferenza e verso la sofferenza, accusandoci di essere dei gran peccatori che devono espiare i propri peccati, soffrendo. Sapere cosa non vogliamo, in questo caso produrre afflizione, è positivo, ma è molto meglio sapere cosa vogliamo e non volendo più soffrire dobbiamo porci come meta l’Illuminazione, che implica la Beatitudine come esperienza preponderante, a prescindere da ciò che accade “esteriormente”; questo non significa negare l’esistenza della “realtà quotidiana”, vuole dire poter valorizzarla pienamente e comprendere profondamente l’importanza della vita come processo di autorealizzazione Divina. www.andreapangos.it